Le
vedi spuntare come margherite a primavera, le gallerie di artisti, i bar
in cui quei maledetti vengono ad abbeverarsi di bicchieri di plastica
sui marciapiedi, quei mangiamerda in giacca e cravatta che fanno
visitare degli appartamenti con affitti che farebbero venire pazzo il
tuo banchiere, quei mongoli di giornalisti venuti a filmare per
l’approfondimento del telegiornale di mezzogiorno quanto siamo
pittoreschi noi poveri, gli asini in uniforme che pattugliano il
quartiere per assicurarsi che l’incontro di terzo tipo fra poveracci e
borghesi non sia troppo esplosivo... Ecco che dopo averci parcheggiati
in ghetti per poveri, ci inseminano del piccoloborghese a palate e dello
sbirro a quintali, ecco che vorrebbero pure farci sloggiare, buttarci
un po’ più lontano nei dimenticatoi per poveri dei quartieri di
periferia, aspettando di trovarci una discarica galattica. Quelli che se
la tirano la chiamano gentrificazione, noi la chiamiamo GUERRA.
Ma
quando si vuole guerra, si finisce per averla. C’è da credere che certi
abitanti del villaggio non si arrendono e non si arrenderanno. Il
potere e la sua sbirraglia non ci riescono poi mica tanto a
civilizzarci. Vengono offerte loro tante piccole attenzioni modeste,
discrete e quotidiane. Quelle piccole cose della vita che fanno piacere e
mettono un buon gran sorriso sulle labbra. Laggiù una banda di sbirri
che si prendono uova marce, insulti e vasi di fiori sul muso, giusto a
fianco un muro ridipinto con dolci torrenti di odio contro i potenti,
altrove un bancomat sfondato a colpi di mazza, un commissariato con i
vetri blindati blu-bianco-rossi che alla fin fine non sono poi così
tanto blindati (ti sei mai fatto un giro dalle parti di rue Ramponneau?).
E poi quell’artistoide in pantofole che passa la giornata sul suo Mac
dietro la vetrina della sua galleria di 100 metri quadri, coi muri
bianchi, che si ritrova con pezzetti della vetrina sulla tastiera? E
quelle telecamere là, che pensavano di poterci intimidire coi loro
sguardi discreti ed imponenti, una per terra in frantumi, l’altra
ricoperta di cenere, un’altra ancora coperta di vernice od adesivi! Poi
quel magnifico schiaffo sul muso del bobò [1] che ci impedisce di circolare e che val bene quello sul muso dello sbirro che ci obbliga a circolare.
Niente può eguagliare questo pizzico di casino, quel bordello permanente, il disordine incontrollato che offre ai propagatori del caos, ai ribelli, agli amanti della libertà una base fertile per l’attacco e la diffusione della rivolta. No, non siamo tutti degli zombi, pronti ad inginocchiarci per lustrare i vostri mocassini, tendendo l’altra mano perché ci passiate le manette, tendendo l’altra guancia in segno di devozione. Intendiamo essere liberi e selvaggi, e potete pure descriverci con i coltelli fra i denti, chiamarci “barbari”, “bande”, “incontrollabili”, “casseurs”, “sabotatori”, la bellezza è dalla nostra parte, nella rabbia di passare all’attacco contro questo mondo, le sue istituzioni ed i suoi rapporti incancreniti dal denaro e dalla concorrenza fra gli individui.
Non vogliamo più ascoltare le vostre serenate politico-violiniste, perché non vogliamo né i vostri diritti, né i vostri doveri, né la vostra sicurezza, né il vostro controllo e ancor meno le vostre promesse. Voi ci parlate di “zone fuori dalla legge”, noi rispondiamo “non abbastanza”. Voi ci parlate di “zone urbane sensibili”, noi rispondiamo “si, siamo dei piccoli esseri sensibili ed è per questo che ce ne fottiamo della vostra sicurezza”. Perché la “mescolanza sociale” dei loro sogni è la pace per i ricchi e la guerra ai poveri.
Allora, senza tregua né resa, soli o con amici, continuiamo ad approfondire la guerra ai ricchi ed ai loro lacchè, alla loro proprietà, i loro sbirri, i loro giudici, i loro giornalacci, le loro gallerie d’arte sovvenzionate ed i loro bar alla moda.
Chi lo sa…forse seguendo questo cammino impareremo a fare la rivoluzione?
[Editoriale del n. 9 di Lucioles, bollettino anarchico di Parigi e della sua regione, maggio 2013]
Niente può eguagliare questo pizzico di casino, quel bordello permanente, il disordine incontrollato che offre ai propagatori del caos, ai ribelli, agli amanti della libertà una base fertile per l’attacco e la diffusione della rivolta. No, non siamo tutti degli zombi, pronti ad inginocchiarci per lustrare i vostri mocassini, tendendo l’altra mano perché ci passiate le manette, tendendo l’altra guancia in segno di devozione. Intendiamo essere liberi e selvaggi, e potete pure descriverci con i coltelli fra i denti, chiamarci “barbari”, “bande”, “incontrollabili”, “casseurs”, “sabotatori”, la bellezza è dalla nostra parte, nella rabbia di passare all’attacco contro questo mondo, le sue istituzioni ed i suoi rapporti incancreniti dal denaro e dalla concorrenza fra gli individui.
Non vogliamo più ascoltare le vostre serenate politico-violiniste, perché non vogliamo né i vostri diritti, né i vostri doveri, né la vostra sicurezza, né il vostro controllo e ancor meno le vostre promesse. Voi ci parlate di “zone fuori dalla legge”, noi rispondiamo “non abbastanza”. Voi ci parlate di “zone urbane sensibili”, noi rispondiamo “si, siamo dei piccoli esseri sensibili ed è per questo che ce ne fottiamo della vostra sicurezza”. Perché la “mescolanza sociale” dei loro sogni è la pace per i ricchi e la guerra ai poveri.
Allora, senza tregua né resa, soli o con amici, continuiamo ad approfondire la guerra ai ricchi ed ai loro lacchè, alla loro proprietà, i loro sbirri, i loro giudici, i loro giornalacci, le loro gallerie d’arte sovvenzionate ed i loro bar alla moda.
Chi lo sa…forse seguendo questo cammino impareremo a fare la rivoluzione?
[Editoriale del n. 9 di Lucioles, bollettino anarchico di Parigi e della sua regione, maggio 2013]
Note
[1] Bobò, contrazione di bourgeois bohème, lett. “borghese bohemien”. Il bobo
é in genere giovane o di età media, tendenzialmente artistoide,
intelletualoide, di sinistra (fino a scimmiottare posture e gusti
“popolari”) ma non troppo, ecologista e cittadinista. Si nutre
preferibilmente di cibo biologico e il suo habitat di predilezione sono
vecchi quartieri dei centri storici, ex quartieri operai o pittoreschi
villaggi di campagna. Insomma, ama attorniarsi di un certo alone di
“autenticità “popolare””, aspetto che lo accomuna al camaleonte, animale
con cui ha una qualche parentela. Si tratta di una sottospecie
appartenente alla specie “classe medioborghese”, con mansioni tecniche,
creative ed impiegatizie, perfettamente integrato nella società. Un po’
come dire “radical-chic” in italiano, ma forse meno ricco (o meno
ostentatore) e meno “radicale” (o meno banfone)... NdT