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Inverno di fuoco a Fleury

Ricordiamo che la prigione di Fleury-Mérogis é situata nel dipartimento dell’Essonne [una trentina di chilometri a sud di Parigi, NdT]. Terminata nel 1968, nel 2010 é, con i suoi 2 855 posti, il più grande centro penitenziario d’Europa. Insieme alle prigioni della Santé e di Fresnes, Fleury é uno dei tre principali istituti penitenziari della regione di Parigi. Circa il 40% dei detenuti di Fleury è impiegato nella produzione di pezzi industriali. Lavorano per un tozzo di pane (appena 4 euro l’ora) in condizioni particolarmente difficili e pericolose (il controllo tecnico delle macchine di lavoro sta alla buona volontà dei secondini). Certo, questi moderni bagni soffrono di numerose contestazioni interne. E se molti detenuti isolati e senza sostegno dall’esterno sono obbligati a mettersi alla mercé di questa forma di schiavitù per avere di che sopravvivere alla meno peggio (mangiare altro che piatti pieni di grassi e imbottiti di calmanti, comprare sigarette, materiale per pulirsi etc.), altri cedono alla forza della rivolta irresistibile contro l’orrore viscerale dell’imprigionamento e della schiavitù.

Nell’aprile 2003, per esempio, scoppia una sommossa nella prigione di Clairvaux [in Champagne; si tratta di una antica abbazia benedettina, NdT]; fra i numerosi atti di coraggio dei rivoltosi c’è un incendio che distrugge le officine. Uno degli accusati dell’incendio, Pascal Brozzoni, nel suo testo ”Non siamo finiti in prigione per lavorare. Perché ho incendiato le officine della prigione di Clairvaux” [http://www.non-fides.fr/?On-n-est-pas-venu-en-prison-pour] rivendica il fatto di aver appiccato il fuoco per distruggere ciò che lo distruggeva.

Non più tardi dello scorso gennaio, un altro incendio ha devastato un’officina che si trova nell’edificio D5 della casa circondariale di Fleury. Vi lavoravano circa 150 detenuti, alla confezione di “bijou di fantasia”. Tracce di materiale incendiario sono state trovate sul luogo da cui é partito l’incendio. Un messaggio altrettanto chiaro di quello del 2003, nessun arresto e 400 000 euro di danni sbattuti in faccia all’Amministrazione Penitenziaria e, attraverso di essa, allo Stato.
Il 10 gennaio, nel paesino di Fleury-Mérongis, sono undici veicoli che vanno in fiamme. I media non credono necessario evocare la possibilità di una vendetta contro i secondini, in questo piccolo villaggio votato a far funzionare il più grande datore di lavoro della zona: l’Amministrazione Penitenziaria.

Sempre nel “villaggio delle guardie”, il 31 gennaio, due secondini vengono pestati sotto casa da un gruppo di persone; sono feriti al viso ed alle orecchie, mentre quattro dei presunti aggressori vengono arrestati e riconosciuti dai due agenti della penitenziaria come persone già incontrate in prigione. D’altronde, nessun dubbio sul fatto che, in un villaggio in cui, su 600 abitazioni, 14 sono attribuite dalla Prefettura, 107 dal Comune, 350 dall’Amministrazione Penitenziaria ed il resto destinato ad altri funzionari pubblici, l’aggressione ai danni di due secondini sia un gesto limpido di vendetta nei confronti di chi imprigiona.

Qualche giorno prima, il 27 gennaio, un altro secondino della prigione di Fléury viene aggredito in casa, a Corbeil-Essonnes. Un sindacato dei secondini racconta: “Un collega é stato sequestrato, imbavagliato e riempito di botte da tre individui incappucciati che si sono introdotti in casa sua”; come riporta ai media una fonte penitenziaria “L’agguato é direttamente legato alla sua attività professionale, poiché la vittima ha ricevuto delle pressioni in rapporto con il suo lavoro”.
Possono sempre parlare, riformare, umanizzare o disumanizzare ancor di più la galera...
La prigione non smetterà mai di generare vendetta.

[Tratto da Lucioles n°6, febbraio/marzo 2012]