È la miseria, caro mio!
Nessun tempo per vivere, nessuna energia dopo ore di lavoro tranne che per accendere la TV, lamentarsi in compagnia di qualche bicchiere di pessimo alcool, di un antidepressivo o del metadone, un abbozzo di preghiera e a letto. Sette ore di sonno agitato prima di ricominciare la stessa giornata di merda, giorno dopo giorno, tutto per qualche spicciolo che passerà dal portamonete del padrone a quello del proprietario, da un qualsiasi commerciante alle casse dello Stato. Facile cadere in depressione, facile lasciarsi andare, accettare il proprio destino e dirsi che niente vale la pena, abbandonare ogni speranza d’altro, senza curarsi, di fronte alla propria miseria, della sorte altrui. Vada come vada, a ciascuno la sua merda. Al di fuori della mia famiglia, della mia comunità, del mio gruppo, nessuna empatia, nessuna solidarietà. Al punto in cui siamo, finché c’è qualche soldo e si riesce a raggranellare qualche briciola (con prestiti, piccoli traffici, sussidi sociali...) perché pensare al resto? Possiamo persino crearci l’illusione che la vita non sia così sinistra rifugiandoci in quel po’ di soddisfazione e di confort che la società è ben disposta a concederci in cambio della pace sociale. Comunque sia, con duemila anni di schiavitù alle spalle, può darsi che l’essere umano sia fatto per vivere in gabbia, padrone o schiavo.
Come una caricatura di ciò che, qua e là, più o meno viviamo tutti.
Polveriera
Magari vi direte che non tutto è così cupo, miserabile e privo di slancio, ed è anche vero. Qualche volta arrivano scintille a dar fuoco alla polveriera, a riprova che questo mondo non è che un vasto cimitero popolato da zombi. In Inghilterra, qualche settimana fa, un torrente in rivolta ha devastato le metropoli tutte lucenti e ordinate. Da poco in Francia, e regolarmente, la rabbia repressa quotidiana esplode con forza in faccia ai padroni e ai loro sbirri. Clichy-sous-bois, Villiers-le-bel... L’odio e la gioia che coabitano in un sussulto di vita. Recentemente sono stati i commissariati, i tribunali, le prefetture, le prigioni, i supermercati a venir bruciati in Tunisia, Egitto, Siria, Libia... e certo non per essere sostituiti con mezzi d’oppressione più democratici.
Scoppiano rivolte di continuo, nelle prigioni, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle famiglie. Qui un uomo che rifiuta di obbedire al suo padrone o al suo sergente, là una donna che piazza un bullone in una catena di montaggio, altrove un bambino che non vuole più ascoltare il maestro o un detenuto che rifiuta di rientrare in cella.
Chi sono gli ideologi ?
Queste rivolte, come le rivolte in generale, non godono di buona fama. O vengono rifiutate o vengono recuperate. Si cerca di gettare il discredito sugli insorti trattandoli da pazzi furiosi, da spaccatutto, da criminali, da terroristi, manipolati da ideologi. La rivolta non sarebbe che una malattia o un pericolo da combattere. Allo stesso tempo si tenta di screditare le sommosse attribuendo loro moventi che non hanno: scontri inter-comunitari, un carattere etnico, il rimpiazzo di un dittatore, e così via. Oppure le si recupera appiccicandovi sopra la propria ideologia: si dirà che le rivolte nel Maghreb cercano di instaurare democrazie capitaliste ricalcate sui modelli occidentali, si dirà che i rivoltosi del novembre 2005 lottavano per ottenere un posto di lavoro fisso, si dirà che le rivolte nei paesi sotto la tutela del FMI hanno lo scopo di raddrizzare il timone economico del paese per un capitalismo dal volto umano. Si recuperano allora gli indignati di piazza Tahrir o di qualsiasi altro posto per meglio respingere gli insorti che a margine rifiutano di porgere l’altra guancia e rispondono colpo su colpo. Si cercano di imporre dei portavoce rispettabili: il giovane diplomato, lo studente carismatico, l’avvocato dei diritti dell’uomo, il politico in esilio, il borghese filantropo, ma è solo il berciare di giornalisti e politici.
Noi non siamo molto intelligenti, eppure. Eppure sappiamo che tutto è assai più semplice. Più delle costruzioni ideologiche, è il cuore a suggerirci di rompere questa pace, a dispetto delle nostre piccole comodità. C’è una logica implacabile nel fatto di restituire i colpi, di non lasciarsi sopraffare, di ribellarsi. Un riflesso vitale, come il cane che morde la mano che lo percuote prima di chiedersi se ha più da perdere a morderla o a farsi bastonare.
Quel che c’è di più sensato in un mondo insopportabile è esattamente di non sopportarlo; e quel che dovrebbe esserci di più condiviso fra noi, al di là di questa comune miseria, è proprio la rivolta contro questa miseria, e la libertà che lascia intravedere attraverso i mezzi utilizzati e i desideri che trasporta.
Abbiamo l’audacia di farla finita con questo mondo, per non essere come quelli che sono morti in questa vita, ormai persuasi che il coraggio consista nel tollerarla piuttosto che nello sfidarla.
La ribellione è la nobiltà degli schiavi.
Un po’ di buon senso...
[volantino distribuito a Parigi, agosto 2011]
Nessun tempo per vivere, nessuna energia dopo ore di lavoro tranne che per accendere la TV, lamentarsi in compagnia di qualche bicchiere di pessimo alcool, di un antidepressivo o del metadone, un abbozzo di preghiera e a letto. Sette ore di sonno agitato prima di ricominciare la stessa giornata di merda, giorno dopo giorno, tutto per qualche spicciolo che passerà dal portamonete del padrone a quello del proprietario, da un qualsiasi commerciante alle casse dello Stato. Facile cadere in depressione, facile lasciarsi andare, accettare il proprio destino e dirsi che niente vale la pena, abbandonare ogni speranza d’altro, senza curarsi, di fronte alla propria miseria, della sorte altrui. Vada come vada, a ciascuno la sua merda. Al di fuori della mia famiglia, della mia comunità, del mio gruppo, nessuna empatia, nessuna solidarietà. Al punto in cui siamo, finché c’è qualche soldo e si riesce a raggranellare qualche briciola (con prestiti, piccoli traffici, sussidi sociali...) perché pensare al resto? Possiamo persino crearci l’illusione che la vita non sia così sinistra rifugiandoci in quel po’ di soddisfazione e di confort che la società è ben disposta a concederci in cambio della pace sociale. Comunque sia, con duemila anni di schiavitù alle spalle, può darsi che l’essere umano sia fatto per vivere in gabbia, padrone o schiavo.
Come una caricatura di ciò che, qua e là, più o meno viviamo tutti.
Polveriera
Magari vi direte che non tutto è così cupo, miserabile e privo di slancio, ed è anche vero. Qualche volta arrivano scintille a dar fuoco alla polveriera, a riprova che questo mondo non è che un vasto cimitero popolato da zombi. In Inghilterra, qualche settimana fa, un torrente in rivolta ha devastato le metropoli tutte lucenti e ordinate. Da poco in Francia, e regolarmente, la rabbia repressa quotidiana esplode con forza in faccia ai padroni e ai loro sbirri. Clichy-sous-bois, Villiers-le-bel... L’odio e la gioia che coabitano in un sussulto di vita. Recentemente sono stati i commissariati, i tribunali, le prefetture, le prigioni, i supermercati a venir bruciati in Tunisia, Egitto, Siria, Libia... e certo non per essere sostituiti con mezzi d’oppressione più democratici.
Scoppiano rivolte di continuo, nelle prigioni, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle famiglie. Qui un uomo che rifiuta di obbedire al suo padrone o al suo sergente, là una donna che piazza un bullone in una catena di montaggio, altrove un bambino che non vuole più ascoltare il maestro o un detenuto che rifiuta di rientrare in cella.
Chi sono gli ideologi ?
Queste rivolte, come le rivolte in generale, non godono di buona fama. O vengono rifiutate o vengono recuperate. Si cerca di gettare il discredito sugli insorti trattandoli da pazzi furiosi, da spaccatutto, da criminali, da terroristi, manipolati da ideologi. La rivolta non sarebbe che una malattia o un pericolo da combattere. Allo stesso tempo si tenta di screditare le sommosse attribuendo loro moventi che non hanno: scontri inter-comunitari, un carattere etnico, il rimpiazzo di un dittatore, e così via. Oppure le si recupera appiccicandovi sopra la propria ideologia: si dirà che le rivolte nel Maghreb cercano di instaurare democrazie capitaliste ricalcate sui modelli occidentali, si dirà che i rivoltosi del novembre 2005 lottavano per ottenere un posto di lavoro fisso, si dirà che le rivolte nei paesi sotto la tutela del FMI hanno lo scopo di raddrizzare il timone economico del paese per un capitalismo dal volto umano. Si recuperano allora gli indignati di piazza Tahrir o di qualsiasi altro posto per meglio respingere gli insorti che a margine rifiutano di porgere l’altra guancia e rispondono colpo su colpo. Si cercano di imporre dei portavoce rispettabili: il giovane diplomato, lo studente carismatico, l’avvocato dei diritti dell’uomo, il politico in esilio, il borghese filantropo, ma è solo il berciare di giornalisti e politici.
Noi non siamo molto intelligenti, eppure. Eppure sappiamo che tutto è assai più semplice. Più delle costruzioni ideologiche, è il cuore a suggerirci di rompere questa pace, a dispetto delle nostre piccole comodità. C’è una logica implacabile nel fatto di restituire i colpi, di non lasciarsi sopraffare, di ribellarsi. Un riflesso vitale, come il cane che morde la mano che lo percuote prima di chiedersi se ha più da perdere a morderla o a farsi bastonare.
Quel che c’è di più sensato in un mondo insopportabile è esattamente di non sopportarlo; e quel che dovrebbe esserci di più condiviso fra noi, al di là di questa comune miseria, è proprio la rivolta contro questa miseria, e la libertà che lascia intravedere attraverso i mezzi utilizzati e i desideri che trasporta.
Abbiamo l’audacia di farla finita con questo mondo, per non essere come quelli che sono morti in questa vita, ormai persuasi che il coraggio consista nel tollerarla piuttosto che nello sfidarla.
La ribellione è la nobiltà degli schiavi.
Un po’ di buon senso...
[volantino distribuito a Parigi, agosto 2011]